Giammarco Puntelli
L'indivisibilità tra poesia e pittura. Nei dipinti di Ricciardi il riferimento alle antiche scritture e alla mitologia è ricorrente ("Apolo e Dafne, Medea") e come fonte di ispirazione ricorre alle scritture sacre ("Genesi, Natività") e alla Divina Commedia ("Inferno Canto I°, Paolo e Francesca, Inferno Canto XXXIII° ") La caratteristica dei dipinti di questo artista è quella di accompagnare ogni opera con un commento scritto, in prosa o poesia e il riferimento alle immagini diventa più chiaro dato che nel Surrealismo la realtà interpretativa è raffigurata come in un sogno e molto spesso non compresa o addirittura fraintesa dal fruitore. Conscio di questa verità, Ricciardi ci guida nel suo cammino e ci spiega con parole sue quali sono state le sue intenzioni che lo hanno condotto a dipingere quell'opera. Questo è un modo del tutto originale di presentare i suoi lavori, come un illusionista Ricciardi sfiora e strasmuta ii personaggi sacri e profani, senza nascondere le fonti di ispirazione come spesso hanno fatto molti surrealisti, da Ernst a Magritte. Ricciardi vive nel mistero del mondo e preferisce andare in fondo alle cose, usare la pittura come uno strumento del pensiero, del sapere e del sogno. Egli pensa e disegna e scrive per immagini, usa la poesia per descrivere la pittura e viceversa, si serve delle immagini di un disegno per comporre una poesia. Ricciardi usa tutti i sensi allo stesso momento, la vista, l'udito e il tatto come elementi necessari per una completa riflessione sull'esistenza umana, insieme all'intelligenza e ll'intuizione.
Eraldo Di Vita
L'artista rilegge e reinterpreta figurativamente i paradigmi più suggestivi dell'epos, i grandi classici come la Divina Commedia, il libro della Genesi, le Metamorfosi di Ovidio, i Capricci di Paganini pe rviolino solo. Della letteratura ama particolarmente la poesia, proprio per la musicalità dei versi, bella da leggere ma anche da ascoltare. La sua creatività è vulcanica e irrefrenabile, infiniti i motivi ispiratori. Una caratteriscica detonante del suo stile è di isolare un dettaglio anatomico come una mano o naturale come una conchiglia e arne architettura iperealistica, di un paesaggio lunare, marziano, sconosciuto, eppure stranamente noto. Si riconosce e rabbrividisce al cospetto del conte Ugolino, dall'epidermide cinerea e gli occhi sbiancati, mostro ossuto e fantasmatico vinto dal suo istinto animalesco che non comtempla altro se non il proprio ripugnante soddisfacimento. L'uomo è capace di raggiungere abissi abietti di sofferenza e crudeltà, come empirei di bellezza e di gioia. Campiture acquose imbevute di luce, trafitte da un crocifisso, che riverbera la suo ombra come una lama; isole deserte, ninfe leggiadre che sinuosamente emergono da un tronco cavo, piedi che si ramificano in radici arboree; la tastiera di un violino che la musica di Paganini fa staccare dalla cassa armonica, lievitare e ondulare insieme con gli spartiti, un archetto che si ostina a suonare crini impossibili. Il confine tra realtà e irrealtà è continuamente varcato da Ricciardi, interessato più alla dimensione dell'eterno e della metafisica che a quello del reale. La musica per l'artista, ultimamente impegnato in un quadro fortemente materico e naturalmente arzigogolata di incoercibile sintassi compositiva, è un estro allo stato puro: causa di un effetto che si pittura.
Cristina Muccioli, critico d'arte docente dell'Accademia di Belle Arti di Brera.